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Occupazione a tempo parziale e congedo per assistenza di familiari
Il 1° gennaio 2021 è stato introdotto lo specifico congedo per l’assisitenza di familiari, regolato dall’art. 329h CO, che prevede che il lavoratore ha diritto a un congedo pagato per il tempo necessario all’assistenza a un familiare o al partner con problemi di salute, che ammonta al massimo a tre giorni per evento e dieci giorni all’anno. Tale congedo riguarda tanto le lavoratrici tanto i lavoratori che possono essere chiamati ad adempiere compiti di assistenza a favore di un loro familiare. La cerchia dei familiari che entra in linea di conto è costituita dai parenti in linea ascendente o discendente, dai fratelli e sorelle, dal coniuge (o partner registrato), dai suoceri e ancora dei figli d’altro letto. Solo l’assistenza legata a motivi di salute entra in linea di conto per attivare il diritto al congedo, non essendo invece previsto che esso possa essere accordato per il supporto legato ad altri motivi (amministrativi, professionali, …). Inoltre, il diritto al congedo può essere esercitato nell’ambito di una sola e medesima affezione alla salute e non in modo ripetuto, ancorché l’affezione possa essere di lunga durata o che generi delle ricadute ripetute nel tempo. Di conseguenza, il congedo si concretizza per tre giorni al massimo per ogni singola diversa affezione allo stato di salute del familiare, prevedendo un massimo cumulato di 10 giorni per ogni anno di servizio. Nel caso di un’occupazione a tempo parziale, il congedo annuo effettivo è determinato pro rata temporis, quindi proporzionalmente al pensum che caratterizza il contratto di lavoro: ad esempio un dipendente occupato al 50% avrà diritto a 5 giorni lavorativi di congedo sull’arco dell’anno (= 10 giorni x 50%). Il calcolo sui giorni effettivi (lavorativi) di congedo che il datore di lavoro deve concedere viene effettuato moltiplicando i 10 giorni del congedo legale (per attività al 100%) alla percentuale dell’attività lavorativa: ecco che avremo 2 giorno per un pensum del 20%, 3 giorni per il 30%, 4 giorni per il 40% e così via. Il lavoratore occupato a tempo parziale conserva poi in ogni caso il diritto al congedo massimo di 3 giorni per ogni singola affezione, indipendentemente dal suo tasso di occupazione. La durata del singolo congedo deve essere in ogni caso parametrata sul tempo ragionevolmente necessario per la presa a carico, ma al massimo sino ai 3 giorni previsti dalla legge. Parte della dottrina propende per una riduzione pro rata temporis anche della durata massima del singolo congedo (cfr. Dunand/Mahon, Commentaire du contrat de travail, Berna, 2022, ad art. 329h CO), ma la dottrina maggioritaria attuale non ritiene concretamente applicabile tale riduzione proprozionale alla durata massima di ogni singolo congedo, poiché il diritto del lavoratore (e di riflesso l’equilibrio contrattuale) già è riproporzionato con l’adattamente della durata annua massima dei congedi di assistenza ai familiari (cfr. Wyler/ Heinzer/Witzig, Droit du travail, Berna, 2024, pag. 530; cfr. Major, Panorama des nouveaux congés du Code des obligations, Bsilea, 2023, pag. 16-17). Nel caso in cui il tasso di attività a tempo parziale non sia sufficiente per arrivare a maturare il diritto ai 3 giorni di congedo massimo per ogni singolo caso, ovvero quando si è confrontati con un pensum inferiore al 30%, il singolo congedo potrà avere una durata massima (retribuita) pari alla durata del congedo secondo il tasso di attività: ad esempio di 1 giorno per un’attività al 10% o 2,5 giorni per un’attività al 25%.
Avv. Costantino Delogu, Studio legale e notarile Delogu
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